Sostanze tossiche nell’acqua

Le sostanze tossiche o veleni sono quelle sostanze che, una volta ingerite, provocano immediatamente oppure a medio o lungo termine, disturbi a una o più parti e funzioni dell’organismo (come malesseri, rash cutanei, intossicazioni, etc…).

Alcune di queste sostanze sono indispensabili all’organismo, in determinate quantità, come zinco, fluoro,ecc., ma possono diventare tossiche se somministrate in concentrazioni elevate.

L’acqua potabile, a causa del massiccio inquinamento delle acque superficiali, diventa, inevitabilmente, via di penetrazione delle sostanze tossiche e pertanto bisognerebbe avere una chiara cognizione di ciò che ingeriamo.

Nelle acque superficiali da destinare a uso potabile, le quantità di sostanze tossiche presenti non dovrebbero mai essere eccessive, a meno di scarichi industriali accidentali, ma in piccole quantità ed è per questa ragione che vengono indicate col nome di microcontaminanti.

Gli scarichi industriali contengono una grande quantità di inquinanti e la loro composizione varia a secondo del tipo di processo produttivo. Il loro impatto sull’ambiente è complesso: spesso le sostanze tossiche contenute in questi scarichi rinforzano reciprocamente i propri effetti dannosi e quindi il danno complessivo risulta maggiore della somma dei singoli effetti. I fertilizzanti chimici usati in agricoltura e i liquami prodotti dagli allevamenti sono ricchi di sostanze organiche che, dilavate dalla pioggia, vanno a riversarsi nelle falde acquifere o nei corpi idrici superficiali. A queste sostanze si aggiungono spesso detriti più o meno grossi, che si depositano sul fondo dei bacini.

In sintesi la microcontaminazione dell’acqua è provocata da composti organici, quali arsenico, bario, cadmio, cromo, piombo, selenio, mercurio, zinco, idrocarburi aromatici policiclici, pesticidi e composti organoclorurati..

L’arsenico, per esempio, è uno degli elementi che possiamo trovare più frequentemente nelle zone industriali o agricole (a causa degli scarichi o insetticidi), se presente nelle acque da adibire a uso potabile, non può superare la concentrazione di 0,05 mg/litro.
A dosi crescenti può causare gravi danni all’organismo.
Gli impianti tradizionali di trattamento non lo eliminano, mentre, gli impianti di trattamento che prevedono come fase finale la filtrazione su carbone attivo e resine specifiche, ne fanno registrare notevoli diminuzioni.