Un motivo in più per rivalutare l’acqua trattata di rubinetto
di Dott. Francesco Gabbai – Geofisico e responsabile tecnico di Sorgiva

Dopo le preoccupazioni sollevate lo scorso ottobre da un’indagine di Greenpeace, che ha rilevato la presenza di PFAS nel 79% dei campioni di acqua potabile in 235 comuni italiani, una nuova allerta riguarda ora l’acqua minerale in bottiglia. L’associazione Altroconsumo ha pubblicato, infatti, i risultati di un test condotto su 21 marche di acqua minerale naturale vendute in Italia: sei sono risultate contaminate da acido trifluoroacetico (TFA), una sostanza della famiglia dei PFAS, ritenuta potenzialmente nociva per la salute.

Anche l’acqua “pura” in bottiglia può essere contaminata

L’idea che l’acqua in bottiglia sia più sicura di quella di rubinetto è spesso alimentata dalla pubblicità, ma i dati dicono altro. L’inquinamento ambientale è diffuso e interessa anche le sorgenti da cui si attingono le acque minerali. Inoltre, il Decreto legislativo 176/11 vieta qualsiasi trattamento chimico o fisico che possa modificare le caratteristiche naturali di queste acque: un vincolo che, in presenza di contaminanti persistenti, rischia di trasformarsi in una criticità per il consumatore.

PFAS e TFA: perché è importante conoscerli

I PFAS (sostanze perfluoroalchiliche) sono composti chimici estremamente stabili, utilizzati per decenni in numerose applicazioni industriali e di consumo (teflon, tessuti impermeabili, schiume antincendio). La loro persistenza li rende altamente bioaccumulabili e potenzialmente nocivi per la salute umana, con effetti documentati su fegato, sistema immunitario e fertilità.
Il TFA (acido trifluoroacetico), in particolare, è un sottoprodotto stabile della degradazione di altri PFAS, altamente solubile e resistente ai trattamenti convenzionali. Tuttavia, può essere significativamente ridotto con sistemi avanzati di osmosi inversa o con filtri certificati per PFAS, oggi disponibili anche in ambito domestico.

L’acqua di rubinetto: controllata, migliorabile, sicura

L’acqua potabile distribuita tramite acquedotto è costantemente monitorata da Asl e gestori locali, come previsto dal D.lgs 18/23 che stabilisce limiti rigorosi per ogni parametro e consente specifici trattamenti per garantire la conformità ai requisiti di legge.

Pertanto, è possibile intervenire anche in ambito domestico e aziendale con soluzioni di trattamento mirato, come:

  • Microfiltrazione a carboni attivi – per rimuovere cloro, composti organici, alcuni PFAS e cattivi odori.
  • Osmosi inversa – per ottenere un’acqua ad elevata purezza, priva di virus, batteri, metalli pesanti e inquinanti emergenti come i PFAS
  • Filtri specifici per la rimozione dei PFAS – utili in zone contaminate.
  • Addolcitori – per proteggere impianti dall’eccesso di calcare.
  • Frigogasatori – per acqua filtrata e refrigerata, liscia e frizzante direttamente dal rubinetto.

Il paradosso italiano

L’Italia è prima in Europa per il consumo di acqua in bottiglia, con oltre 200 litri pro capite all’anno.

Eppure, dispone di una rete idrica tra le più estese e controllate.

Non tutti sanno che, per alcuni parametri (come l’arsenico, solfati e manganese), i limiti di legge per le acque minerali sono meno restrittivi di quelli imposti all’acqua di rubinetto.


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